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giovedì 19 dicembre 2013

Alla ricerca della flessibilità

Quest’articolo sul tele-lavoro, capita proprio a pennello.
Già perché qualche tempo fa ho avuto modo di parlare con il mio datore di lavoro della questione lavoro da casa e/o flessibilità.
 
Dopo essere diventata mamma, una serie di domande sulla gestione del lavoro e della famiglia si sono affollate nelle mia testa. In primis: come riuscire a crescere mia figlia nel periodo più delicato della sua vita se passo 9 ore in ufficio e lei all’asilo nido. Partendo dal fatto che non voglio rinunciare al mio lavoro, perché mi piace e ci tengo e, allo stesso tempo, non vorrei “parcheggiare” mia figlia in un asilo nido, mi sono informata per capire quali fossero le possibilità di lavorare da casa. Sulla carta ci sono tutte: esiste una normativa ad hoc in Italia (incredibile ma vero) che prevede il telelavoro a seguito di un accordo bilaterale tra dipendente e datore di lavoro. Il governo prevede anche degli incentivi fiscali agli imprenditori che attuano questo tipo di contratto.
Beh, ho provato a chiedere al mio capo se potevo usufruire della cosa, almeno per il primo periodo di rientro da lavoro. La risposta è stata NO. 
Tornata a lavoro, ho cominciato a destreggiarmi, tra lavoro, asilo, casa etc. Quando Azzurra ha avuto la prima febbre (causa contatto con altri bambini influenzati all’asilo) e io sono rimasta a casa per curarla, ho chiesto se potevo lavorare da casa, dato che io a Roma non ho aiuti familiari di nessun tipo, se non quello di mio marito (lavoratore a tempo pieno anche lui). Mi è stato concesso di farlo un paio di volte. Dopodiché, fine dei giochi. Non è più possibile chiedere di lavorare da casa, perché si creano precedenti scomodi in azienda. Cosa si fa allora? Si chiedono ferie o permessi non retribuiti per accudire il proprio piccolo.
La domanda, però, mi sorge spontanea. Ma è davvero così “pericoloso” concedere un po’ di flessibilità al dipendente? Oppure la cosa è solo unilaterale: il dipendente deve essere flessibile e multi-tasking, sempre pronto a rispondere alle diverse esigenze dell’azienda? E la flessibilità da parte dell’azienda dov’è?
È ancora necessario controllare continuamente il proprio dipendente, altrimenti fa il furbetto e non lavora? Ma quante volte succede che, anche se si è in ufficio, si è inefficienti e si perde continuamente tempo? Se si dice: “oggi lavoro da casa”, significa non fare nulla? Io sono riuscita a lavorare tranquillamente da casa con Azzurra, tra un gioco ed un pisolino.
E poi lo sanno tutti che le donne riescono a fare due cose contemporaneamente.
Allora sfruttiamo questa dote! No?

3 commenti:

  1. cara Charlotte, leggere questo tuo post è interessante, soprattutto nel giorno in cui si viene a sapere che un consigliere del tuo Abruzzo aveva fatto firmare un contratto "sessuale" alla sua segretaria e che il PD (sinistra?!?) propone l'abolizione dell'articolo 18 per i neoassunti.
    Ossia voglio dire: essendo queste le condizioni dei lavoratori in Italia, non ti sembra la tua pretesa eccessiva (ancorché condivisibile)?
    Secondo me c'è tanto da lottare per riprendersi un po' di diritti - ad esempio quello di non fare straordinari e lavorare meno intensamente. Se il lavoro è effettivamente così tanto, perché non assumere qualche disoccupato in più? Mi dicono che ce ne sono parecchi in giro...
    La risposta è ovvia: non c'è simmetria fra le decisioni del lavoratore e quelle del padrone. Ti chiedi "e la flessibilità da parte dell’azienda dov’è?" Non solo non c'è, ma non ha nemmeno motivo di esserci. Ahinoi!
    Baci

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    1. Grazie per il commento. è un argomento molto delicato e mi rendo conto che la situazione italiana è particolarmente difficile. Non per questo però, bisogna smettere di far sentire la propria voce, tenendo bene a mente la situazione di partenza. Ci viene chiesto ogni giorno di dare qualcosa in più sul lavoro, i diritti del lavoratore vengono sviliti continuamente, si arriva perfino a vergognarsi di chiedere qualcosa che ci spetta (appunto) di diritto per paura di avere eventuali "rappresaglie". Non mi lamento di quello che faccio e quello che ho, mi piacerebbe solo conciliare maggiormente lavoro e vita privata. Sbaglio?

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  2. Premetto: no che non sbagli! La tenera crescita di un figlio è ben più importante della crescita di "tender" vinti (chissà poi perché tenero e offerta commerciale in inglese hanno lo stesso termine...).
    Ti ho risposto solamente perché, per strappare questo diritto al telelavoro come gli altri "vecchi" diritti, penso sia necessario essere coscienti dei rapporti lavorativi reali. Nel tuo post, mi sembra che tu lasci tutto un po' al buon cuore di questo o quel datore di lavoro. Ma proprio il fatto che tutto dipenda dal "buon cuore", da paternalismo, è a dimostrazione che i rapporti fra te e loro sono sbilanciati a loro favore.
    Forse si può iniziare condividendo le necessità di cui parli. Quante mamme sottoscriverebbero il tuo post? Immagino diverse centinaia di migliaia, in tutta Italia. Dare una voce a questa massa sarebbe più forte del chiedere, individualmente, una concessione che suona più "per grazia ricevuta"...

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